Un potenziale da 162 miliardi di capacità fiscale, con un raddoppio rispetto a quanto c’era a disposizione finora. Un raddoppio che, però, rischia di restare sulla carta perché, come spiegavano ieri diverse fonti bancarie, «non è questa la soluzione che consentirà di far ripartire il mercato». A pesare sono, soprattutto, gli effetti finanziari negativi che l’allungamento dei tempi porta.
La possibilità di spalmare, su richiesta del cessionario, gli sconti in fattura e i crediti ceduti relativi al 110% su un arco temporale più lungo (da quattro a dieci anni) è la carta che il governo ha deciso di giocare nella versione finale del decreto Aiuti quater, atteso in Gazzetta Ufficiale oggi, per provare a rianimare un mercato in sofferenza ormai cronica (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri). Lo sblocca crediti, però, pare destinato a sbloccare poco.
La possibilità di spalmare, su richiesta del cessionario, gli sconti in fattura e i crediti ceduti relativi al 110% su un arco temporale più lungo (da quattro a dieci anni) è la carta che il governo ha deciso di giocare nella versione finale del decreto Aiuti quater, atteso in Gazzetta Ufficiale oggi, per provare a rianimare un mercato in sofferenza ormai cronica Lo sblocca crediti, però, pare destinato a sbloccare poco.
Tornando ai crediti spalmati in dieci anni, il potenziale della misura è gigantesco, come si capisce dai numeri della relazione della commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario. La capacità fiscale mercato è, su base annua, pari a circa 16,2 miliardi di euro. Moltiplicando questo valore annuo per cinque, si ottiene la capienza fiscale teorica, legata all’arco temporale massimo dell’agevolazione più rilevante, il 110%: il potenziale del mercato con una compensazione a cinque anni è, allora, di 81,1 miliardi.
Allungando questo arco temporale, come ipotizzato dall’Aiuti quater, banche e altri acquirenti avrebbero la possibilità di spalmare i crediti in più anni. La capacità teorica di assorbimento, allora, aumenta di conseguenza. È la stessa relazione a dare il valore del potenziale del mercato con la compensazione a dieci anni: 162,3 miliardi.
Questa grande capacità di acquisto, però, da sola non basta. In un periodo di tassi di interesse altissimi (e in crescita) a pesare sono, infatti, i maggiori oneri finanziari che sarà necessario sopportare per allungare i tempi di compensazione. Attualmente un superbonus 110% con recupero in quattro anni viene pagato sul mercato circa il 90% del suo valore nominale. Un credito di imposta con recupero in dieci anni, invece, viene pagato il 70% del suo valore. Allungare i tempi può costare venti punti.
Gli scenari da considerare sono due. Il primo è quello di una banca che abbia crediti in pancia con compensazione programmata in quattro o cinque anni. Se decidesse di portare il tempo di compensazione a dieci anni, registrerebbe una perdita, legata ai maggiori oneri di attualizzazione di quell’importo. E questa perdita potrebbe essere anche rilevante, se pensiamo che ci sono istituti che hanno acquisito miliardi di euro di crediti.
Difficile, comunque, che una banca decida di fare un’operazione del genere. Così, è ancora più preoccupante il secondo scenario, che riguarda imprese che hanno crediti fermi in pancia, acquisiti attraverso sconti in fattura. Questi soggetti, dopo avere effettuato lavori di ristrutturazione, si trovano ad avere crediti per i quali hanno ipotizzato una rivendita a un certo prezzo, che attualmente sarebbe il 90% del valore del bonus. Vendendo il credito con compensazione a dieci anni, stando ai valori di mercato, l’impresa sarebbe sottoposta a una tosatura di venti punti: con ogni probabilità, a conti fatti, avrebbe effettuato un lavoro in perdita.
«Aumentare l’orizzonte temporale crea un problema evidente», dicono ancora fonti bancarie, «in qualche situazione limitata questa misura potrà anche contribuire a sbloccare qualcosa, ma non aumenterà strutturalmente la capienza del sistema». Il confronto tra governo e mondo bancario, insomma, non pare destinato a fermarsi qui.
Resta sul tavolo, allora, la proposta avanzata qualche giorno fa da Abi e Ance, da riprendere nel corso del confronto con l’esecutivo: agire sul lato della capienza degli istituti facendo leva sugli F24, con una misura straordinaria e a termine. Gli F24 presi in carico dalle banche per conto dei loro clienti dovrebbero essere pagati in parte tramite i crediti fiscali in pancia agli istituti. Questo passaggio sarebbe indifferente per chi paga, ma consentirebbe di liberare rapidamente capienza: gli F24 pesano tra i 400 e i 500 miliardi di euro ogni anno. Ogni punto percentuale di questa operazione consentirebbe di liberare, allora, capienza per 4-5 miliardi.
Fonte: Redazione TFDC